lunedì 29 ottobre 2012

brutti e pupe

La questione è una sola: la mia università è frequentata da troppe belle ragazze, il che non è propriamente propedeutico al mantenimento in vita della mia già acciaccata autostima. Le due amiche con cui giro per i chiostri? Due schianti biondi che hanno già provocato un gran numero di torcicolli tra i frequentanti maschi (o presunti tali) dell'ateneo. Lusinghiero che non si vergognino a portarsi in giro la sottoscritta (sarò mica un pizzico figa anche io?) ma non posso non essere terrorizzata dall'idea, o meglio dalla certezza, che attireranno l'attenzione anche di mr camicia stirata, oggetto dei miei sguardi sognanti nonché protagonista dei miei sogni romantici tra una derivata e l'altra. Ma loro sono troppo belle anche per lui.
Ogni mattina per quanto io mi senta carina mentre pedalo nel tragitto da casa all'università, appena giunta in Sant'Agnese tutte le mie convinzioni su quanto sono dimagrita, su quanto mi stia bene la frangia, su quanto efficientemente questo nuovo vestito mi nasconda i fianchi, crollano inesorabilmente davanti a una folla di per lo più bionde fanciulle dai lineamenti fini dotate di borse griffate coordinate alle scarpe. Sembrano aspettarmi, ogni giorno, schierate sempre nella medesima formazione per ricordarmi i canoni di bellezza ricercati da ogni ventenne di questo mondo, grazie care, gentilissime.
Una frangia spettinata e un nasone fanno innamorare solo nei film francesi indipendenti e Louis Garrel non bazzica propriamente in corso Magenta, accidenti.
Provo a decidere la sera prima che vestiti da indossare, stile elementari, nessun miglioramento ma almeno preparo anche la borsa e comincio a ricordarmi di prendere una bottiglietta d'acqua. Mi lancio nell'analisi di video tutorial su youtube per il make-up ma non oso mettere nulla in pratica consapevole di non avere particolare confidenza con l'oggetto trucco. L'idea di emulare chi coraggiosamente si reca a lezione con i tacchi non so perché ma non mi sfiora nemmeno. Nonostante i tentativi conditi di buona volontà non riesco ad ottenere risultati soddisfacenti e decido di confidare nel tempo, sperando di svegliarmi una mattina con il senso estetico di Rachel Zoe e l'abilità manuale di Clio. Nel frattempo rimango spettinata, un po' sgraziata ma il più possibile sorridente, in fondo se sei bella dentro si vede dai denti (sorridi). E a pensarci bene la bellezza interiore anche è l'unica universalmente riconosciuta, meglio lavorarci su.


domenica 28 ottobre 2012

senilità

Ebbene ho 19 anni, età ingrata in cui non si è ancora adulti ma si è più o meno superata l'adolescenza. Quando si diventa grandi? Forse quando si va a fare la spesa da soli, comprando anche ciò che serve a soddisfare le esigenze di qualcun altro, e ci si perde tra i corridoi di un supermercato sognando di tornare a riordinare il contenuto dei sacchetti in una casa tutta propria. Quando si fantastica di condividere la scelta dello yogurt con qualcuno, quando si comincia a meditare di fare la spesa dopo le sette per incrociare i complici sguardi di chi ancora non sa bene cosa gli riserveranno i prossimi anni ma che già decide autonomamente cosa mangerà per cena.
Diventiamo grandi quando dobbiamo gestire personalmente il cambio di stagione dell'armadio, quando parliamo di cosa vorremmo fare in un futuro che abbiamo capito appartenere solo a noi, quando ci accorgiamo che una mamma può non avere ragione e riusciamo a non farglielo notare.
Siamo un po' più cresciuti dopo aver tenuto in braccio un neonato, anche se quasi sconosciuto, così come quando fingiamo che non ne vorremo mai uno nostro.
Si diventa improvvisamente grandi nella constatazione della mortalità umana, si cresce nel capire che i propri genitori non sono dei supereroi. Si cresce quando si provano i tacchi della mamma di nascosto, quando si rompe qualcosa preso in prestito, quando si piange davanti ad un bambino.
Ci si accorge di essere un po' invecchiati quando si giura a se stessi di non credere nell'amore, ma ancora di più quando si impara ad apprezzare quel sano sfarfallio caratteristico di ogni apparato digerente.
Diventiamo grandi quando compriamo qualcosa con i soldi che ci siamo guadagnati, quando viaggiamo da soli, quando smettiamo di accontentarci. Quando riusciamo a comprendere un rifiuto e ogni volta che consigliamo a qualcuno di dire la verità. Quando scopriamo un tradimento, quando diciamo a qualcuno che andrà tutto bene senza ben capire se lo crediamo davvero.
Siamo grandi quando scegliamo di fare più fatica.
Ci sentiamo grandi ma non adulti, quel tipo di crescita non lo percepiremo mai.

mercoledì 17 ottobre 2012

I'm a not-so-fashion blogger

Tra le mail a volte si trovano piacevoli sorprese, come un invito a un cocktail da Roger Vivier. Ci vado? Non ci vado? Ma poi io non so come ci si comporta a un cocktail.
Cosa mi metto? Ci si tacca o non ci si tacca? E' una cosa formale o bisogna far finta di essere passati da via Sant'Andrea 17 alle 19 di martedì 16 ottobre per puro purissimo fortuito caso?
Decido di rimandare all'ultimo momento ogni sega mentale preventiva e mi concentro sugli impegni del mio ordinario secondo giorno della settimana: qualche figura di merda in università, consegna dei documenti per l'abbonamento ai mezzi, pranzo al volo, ripetizioni di inglese a un ragazzino (e fu così che imparai a dire apparecchio e gomito in inglese), estetista prenotata ciccando di un'ora secca l'orario. Il tutto pedalando sulla mia splendida bici da sciuretta amica dell'area C, sperando che serva perlomeno alle chiappe.
Arrivo a casa, ovviamente spettinata e un po' indolenzita ma ahimè sono già le 18.30 e non ho il tempo (ma neanche le forze) di meditare un cambio di look degno dell'evento. Punto sulla tattica di quella che  "è riuscita a fare un salto" e rimango vestita come Diane Keaton in Manhattan.
Mi do una spennellata di terra sulla faccia sperando di non avere un planisfero disegnato sulle guance, due colpi di spazzola alla frangia più o meno fresca di taglio e infilo i miei tronchetti supermaschili. Sono pronta, esco ed evito sapientemente di incrociare il mio riflesso nello specchio dell'ascensore perché so che non sarei soddisfatta di come sto.
Mi avvio verso la più vicina fermata della metropolitana risalendo come un salmone piuttosto sfigato la corrente di tifosi che accorre allo stadio per vedere la nazionale e dopo qualche minuto raggiungo il mio vagone. Ipod a palla, dopo solo due canzoni sono già arrivata, accidenti. Mi controllo nei vetri delle porte automatiche, dai la situazione non è poi così drammatica, fermata San Babila, eccoci.
Mentre mi avvicino alla mia destinazione mi ripeto le regole del galateo, cerco di ricordare le mie ultime dodici figure di merda fatte al fine di evitarne un bis gratuito e senza applausi, cerco di immaginare cosa mi attenderà. Mi sento come la tipa de Il diavolo veste Prada tra il prima e il dopo la cura de-sfigacizzante.
Arrivo e vengo accolta da una teatrale uscita nientemeno che di Simona Ventura della quale riesco a malapena a distinguere i connotati originari ma sono perfettamente in grado di sentirne la vocina richiedere un taxi dopo aver chiesto ai suoi, come definirli, collaboratori, scagnozzi, come mai fosse già "tutto finito".
Sono le 19.27 l'invito diceva "dalle 19 alle 21" mi sarò mica persa questo "tutto", avrò mica già toppato presentandomi in ritardo? 
Mando un messaggio alla mia favolosa amica che ha voluto sopravvalutarmi invitandomi: sta uscendo solo ora dall'ufficio: la aspetto un paio di minuti e insieme a lei sono pronta ad entrare.
Si dispiega davanti a me un mondo fatato fatto di scarpe e borse di una fattura e di una bellezza quasi più uniche che rare. Tempo dodici secondi mi è già stato offerto dello champagne (Carlotta, concentrati, non rovesciare quel cazzo di bicchiere) e non esito un attimo a esplorare con lo sguardo tutto ciò che ho intorno.
Chi può indossa un paio di scarpe della casa, tanti sono agghindati per l'occasione. Io no, ma stranamente non ci penso più di tanto.
Riesco a scorgere Inès de la Fressange, unica sopra gli "anta" qua dentro che dimostra e vuole dimostrare la sua reale età, alta, altissima e di un'eleganza che attira gli sguardi di tutti. In primis il mio, e devo ricordarmi che fissare le persone non è un gesto particolarmente educato per convincermi a non guardarla continuamente.
Scorgo una fin troppo bionda e davvero oltre misura colorita Panicucci e una sorridentissima Lagerback che lascia il negozio salutando tutti come se li conoscesse da una vita, fantastica. 
Ma sono consapevole fin da subito che il mio dichiarato vip-watching è super-out: qua tutti, o quasi, si comportano come se fossero loro i protagonisti indiscussi della serata e alla Inès al massimo fanno finta di tirare una disinteressata gomitata. Tra i vari soggetti scorgo una manciata di fashion bloggers o it-girls specie, ahinoi, in via d'espansione i cui esemplari sono riconoscibili dall'accostamento a minchia di gonne tartan e magliette a righe con calze a fiorellini abbinate a sandali sadomaso. Che stile. 
Non posso non constatare che la maggior parte delle fanciulle presenti pesa più o meno come un mio polpaccio ma in fondo non è colpa mia, è che ho le ossa grosse. 
Dopo non molto mi sono già ambientata, invitata da una delle ragazze più in gamba di cui conosco l'esistenza (la quale ho potuto rintronare con una chiacchieratona delle mie) imparo un sacco di cose nuove e incontro anche un amico che dopo l'evento mi propone un salto anche da Hermes. Chi sono io per dire di no alla presentazione di una nuova collezione di cravatte? Mi sa che ci ho preso gusto, ahia.